È tempo di seminare il grano: i giganti con potentissimi motori hanno ormai scatenato tutta la loro cavalleria, rivoltando e affinando le crete tenaci delle colline. Le prime piogge autunnali hanno concesso la giusta umidità al letto di semina e le ali immense, alimentate da cisterne da migliaia di litri, hanno terminato la delicata fase di controllo delle erbe infestanti per evitare competizione con il frumento che verrà. Tutto è pronto per iniziare una nuova stagione di semina.
Tutto come una volta, quando per seminare però, bastava un solo cavallo, vivo, vero.
Lavorazioni, arature, semina, tutto era affidato agli animali, cavallo, mulo o bovino e a loro erano rivolte tutte le attenzioni dell’agricoltore, consapevole che il futuro del suo grano era nei piedi dei suoi fidati amici.
Le arature dovevano avere la giusta profondità per evitare che il cavallo si stancasse troppo ed infatti il cane era sempre pronto ad abbaiare per incitare i bovini pigri.
Il compito più importante del bburgisi (l’agricoltore) era riconoscere il momento migliore per seminare.
Cosa non semplice: il terreno doveva essere cunzatu (ben preparato), dòcili (soffice), insomma timpiratu (né troppo molle né troppo duro). Il bburgisi doveva conoscere bene il suolo della sua azienda per capire quando questi tre fattori erano in perfetto allineamento. Il vero bburgisi si distingueva, perché amava la sua terra e da buon amante sapeva riconoscere quando la terra, la sua terra, era nnamuri (in amore), pronta cioè ad accogliere il seme della futura vita.
Dura, complessa ma affascinante la vita del bburgisi. La sua intuizione era determinante per scegliere se siminari a ssurcu o siminari a spagliu.
I più bravi miravano alla ricerca spasmodica della perfezione decidendo in funzione del terreno, della stagione e degli uomini, se siminari surcu pi surcu oppure a surcu vacanti.
Il tipo di semina era decisiva per l’impostazione di tutta la campagna, condizionando la scelta del seme, la modalità del diserbo, la previsione di emergenza e quella di accestimento.
La scommessa del bburgisi era immaginare nei minimi particolari tutto il percorso per arrivare a produrre il biondo laùri, il migliore tra tutti i laùri intorno a lui, il più bello, il più ricco, il più invidiato dal vicinato.
Ma la vera sfida per il bburgisi, la prova che lo incoronava tale, era siminari all’affacciu: la “semina diretta” del grano.
Si arrivava a siminari all’affacciu per mancanza di piogge che, inevitabilmente, impedivano le arature anche superficiali. Non c’era scelta: seminare il terreno senza arare.
Siminari all’affacciu richiedeva competenze specifiche, e per questo l’agricoltore si rivolgeva al bburgisi che lo sapeva fare.
In quel periodo non si poteva contare sulle tecnologie moderne che permettono di deporre il seme alla giusta profondità e con la certezza della copertura, a prescindere dalle irregolarità del terreno.
Il bburgisi esperto di siminari all’affacciu doveva essere attento all’andamento climatico, capire i segnali che il cielo e le nuvole lanciavano, prevedere l’evolversi delle erbe infestanti su un campo non ancora scumatu. Ma i veri nemici del bburgisi erano le infide crepe del terreno che azzoppavano i cavalli, le formiche che portavano via il seme non coperto bene e gli uccelli che avevano a disposizione tanti semi da mangiare.
Il bburgisi sapeva gestire “l’aratro di semina” per aprire il solco e non fare nu surcateddu misarabbili, ca pari ca cci leva sulu lu pruvulazzu (la polvere).
Allora non c’erano associazioni, università, corsi di formazione, internet che oggi rendono veloce ed efficace l’informazione e lo scambio di esperienze.
C’era una lunga e paziente osservazione della natura, l’utilizzo di nozioni tramandate da padre in figlio, l’intuizione del cambiamento e magari la fortuna di incappare in errori produttivi i cui risultati potevano essere valutati, però, solo a fine campagna.
Arrivava poi il momento tanto atteso del raccolto, quando il lavoro di una stagione era sotto gli occhi di tutti. Quando si ottenevano risultati validi avevi fatto il tuo dovere ma, se si produceva poco o male, era la fine. Anche oggi il Direct Seeder vive le stesse emozioni.
Il Direct Seeder di oggi come il bburgisi della semina all’affacciu è così: innamorato della sua terra, non ha paura di affrontare nuove sfide, è attento ai segnali che il terreno e il grano manifestano durante la campagna, è orgoglioso della sua professionalità, mette a disposizione la sua esperienza, è consapevole del suo bagaglio tecnico e culturale.
(Lino Falcone – Presidente Comitato Operativo Semina Diretta 2.0)
Ispirazioni e foto tratte da “Pane amaro” di Salvatore Nicosia.